Il mercato chiede sostenibilità, ma c’è confusione
Consumi fiacchi, online in controtendenza
Sita Ricerca News • 30 Maggio 2019
I l punto sui consumi di abbigliamento nel 2018, ma anche un focus su tematiche di attualità come la sostenibilità e sulla competitività delle imprese del made in Italy: durante un incontro con la stampa Sita Ricerca ha tracciato un quadro del mercato della moda nel nostro Paese, mentre l’Ufficio Industry-Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo ha fornito il quadro delle aziende del comparto, alle prese con una sempre più accentuata espansione internazionale.
«L’anno scorso i consumi di vestiario hanno registrato un trend negativo nell’Europa dei Big Five – ha affermato Fabio Savelli, amministratore unico di Sita Ricerca – con Francia e Italia maglie nere».
Il nostro mercato, come ha fatto notare Savelli, ha segnato infatti un -2,5%, rispetto al -1,9% della media europea.
A sostenere almeno in parte il business è stato l’e-commerce, aumentato del 21% rispetto al 2017, con una quota che ormai raggiunge il 12% del totale. L’anno scorso gli e-buyer fashion sono saliti a 14,5 milioni, +34% se rapportati a cinque anni fa, e hanno fatto il 18% del loro shopping di moda in Rete.
«L’Italia – ha sottolineato il top executive – sta progressivamente recuperando posizioni su questo canale e ha quasi raggiunto la quota della Francia».
Al contrario, le reti fisiche arretrano del 5,1%, mentre sul fronte prezzi continua il downgrading del settore.
La quota delle vendite a prezzo ridotto si è stabilizzata ma su valori molto elevati, intorno al 53%, contro il 35% del 2010.
«Attualmente – ha fatto notare l’amministratore unico di Sita Ricerca – tra i Big Five solo l’Inghilterra ha registrato un valore di svendite superiore alla Penisola».
L’inizio del 2019 non è stato dei migliori, con un -2,7% di consumi nel primo quadrimestre, seguito da un maggio piovoso, che non potrà che peggiorare il trend.
Nello stesso periodo gli shopping mall, che detengono il 40% del mercato, hanno ceduto il passo, a causa per esempio della caoticità di alcuni format e dell’offerta troppo standardizzata, come è emerso da Fashion Consumer Panel analizzato da Sita Ricerca. Meglio è andata ai centri cittadini e ai factory outlet.
Il ritmo di acquisto elevato a prezzi convenienti resta sempre l’approccio al consumo più diffuso presso la popolazione italiana (41%). Emergono però, più forti che in passato, esigenze di qualità e, in nuce, di eticità dei capi (26%).
Savelli ha ipotizzato una chiusura del 2019 in calo dell’1,8%, con un leggero recupero nella seconda parte dell’anno.
«Bisognerà aspettare il 2020 – ha concluso – per arrivare a una situazione di maggiore tenuta dei consumi delle famiglie».
Annamaria Armano, research director di Sita Ricerca, ha approfondito la tematica della sostenibilità nel tessile, partendo dagli esiti di un’analisi qualitativa svolta negli ultimi mesi su Millennials, Generazione X e Baby Boomers.
Armano ha sottolineato come il settore sia spesso associato a pratiche negative come lo sfruttamento del lavoro delle categorie deboli, degli animali e delle risorse, oltre all’inquinamento, in particolare delle acque.
Malgrado si avverta ancora una certa confusione sull’argomento,
«è anti-sostenibile per definizione il grande mondo del fast fashion, inteso come l’impero della produzione di capi sintetici e a basso costo».
Si registra uno scollamento tra quello che le persone dicono e ciò che fanno: condannano chi non è sostenibile, ma nella realtà degli acquisti sono di manica molto più larga. E a proposito di “naturalità” o meno dei materiali, le idee sono tutt’altro che chiare.
Lo scenario macroeconomico delle imprese italiane della moda è stato delineato da Stefania Trenti, responsabile dell’Ufficio Industry – Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo.
«L’economia mondiale – ha detto – dovrebbe aver superato il punto di minimo nel primo trimestre del 2019 e gradualmente migliorare, ma restano molte incognite e altrettanti rischi, dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina, alla Brexit».
E l’Italia? Premesso che da gennaio a marzo il Pil italiano è tornato ad aumentare, superando le difficoltà del secondo semestre 2018, nella media del 2019 si attende, secondo Trenti, una tenuta dei consumi. Gli investimenti però rimarranno deboli, visto il clima predominante di incertezza.
Le aziende nazionali del fashion sono sempre più proiettate a una dimensione internazionale: in base alle stime sui prossimi cinque anni, la percentuale di ricavi realizzata oltreconfine si porterà al 70%, come evidenziato da Intesa Sanpaolo e Prometeia.
In particolare, nel primo quarter di quest’anno i dati Istat sull’export evidenziano un +6,1% per il made in Italy, con punte del +9,9% per la filiera della pelle e, tra i Paesi d’elezione, un balzo avanti di quasi il 49% in Svizzera, un +12,6% negli Usa, un +10,9% nel Regno Unito. Bene la Cina (+8,4%) e il Giappone (+8,2%).
Intesa Sanpaolo sottolinea inoltre che negli ultimi anni il raggio d’azione delle imprese italiane della moda si sia allargato, collocando il nostro Paese al primo posto tra i competitor europei del settore per distanza coperta dalle esportazioni: la capacità di raggiungere mercati lontani non appartiene solo al lusso, ma anche alle fasce intermedie del mercato.
Stefania Trenti si è riallacciata al discorso sostenibilità: chi investe su questo fronte e sull’innovazione getta le basi per una maggiore redditività e la crescita del turnover.
«Il potenziale di recupero degli scarti tessili – ha precisato – è rilevante, trattandosi di oltre 500 chili annui per addetto. Basti pensare che l’ampia base produttiva presente in Italia in comparti come il tessile e la concia implica una maggiore intensità di utilizzo di sostanze chimiche, a cui si aggiungono altri rifiuti: in totale, si parla di 2,2 tonnellate per addetto».
Per finire, Paolo Zani (direttore Clienti Largo Consumo e New Projects di Sita Ricerca) ha ricordato che il Fashion Retail Panel Club, rilevazione settimanale del sell out e del traffico dei principali retailer italiani e stranieri, compie un anno, puntando al raddoppio degli aderenti e a un maggiore approfondimenti dei segmenti merceologici, insieme a un ampliamento delle metriche.
Quanto al Fashion Consumer Panel, tracking trentennale dei consumi fashion di Sita, lancia un nuovo sistema di rilevazione attraverso una app in grado di registrare quotidianamente i consumi, arricchita da immagini e ulteriori informazioni legate all’esperienza d’acquisto (nella foto, la moda ecosostenibile di Tiziano Guardini).
a.b.
Fonte: Fashion Magazine – 30 maggio 2019