Retail verso un rimbalzo nel 2021

Di |2020-06-11T09:00:46+00:0011 Giugno, 2020|Press|

Lo shopping di moda continua a soffrire

Sita Ricerca Press • 9 Giugno 2020

A quasi un mese dalla ripartenza, lo shopping di moda continua a soffrire ma evidenzia segnali cautamente positivi. Il flusso nei negozi è calato in media del 50% rispetto allo stesso periodo del 2019, però migliora lentamente di settimana in settimana. Non solo. Il 90% delle persone che entra nei punti vendita acquista e spende in media più dello scorso anno. La performance dei retailer varia comunque in modo significativo a seconda sia della location – meglio le high street e i centri commerciali, peggio i grandi outlet center e il travel retail -, sia della piazza turistica o meno, vista l’assenza di stranieri.

Sita ricerca, che con il suo “Fashion Consumer Panel” monitora da 30 anni i consumi di moda in Italia, fa un primo bilancio dell’impatto del covid-19 sul mercato della moda. Le vendite di abbigliamento, accessori, intimo e calzature hanno perso nei primi 4 mesi dell’anno 3 miliardi di euro, 145 milioni di capi e 5 milioni di acquirenti.

A causa dello shock subito dal settore, prevediamo che il 2020 si chiuderà con una flessione del 25% del valore del mercato fashion nella Penisola, pari a 27 miliardi di euro nel 2019. Però stimiamo per 2021 un rimbalzo tecnico del 33%, che riporterà il sell out circa ai livelli del 2019.

ha detto a MFF Alessandra Mengoli, partner di Sita ricerca. A beneficiare del lockdown sono state le vendite on line: nel primo quadrimestre hanno preso il volo, con una crescita del 14% a valore. L’e-commerce, diventato il principale canale di riferimento per il consumatore, ha raggiunto una quota del 23% rispetto al 13,1% del 2019, con un raddoppio dei nuovi e-shopper e un’esplosione di richieste per il loungewear, l’abbigliamento sportivo e da notte, l’intimo e le calze.

Con la riapertura dei negozi, il primo approccio dei consumatori è stato timido anche se superiore in media alle aspettative delle insegne aderenti al nostro “Fashion Retail Panel Club”, che riunisce circa 2 mila negozi.

ha spiegato Mengoli, aggiungendo>

Nelle prime 2 settimane il calo del traffico è stato in media del 53%, con una crescita del 26% nella seconda settimana rispetto alla prima. La buona notizia è che il tasso di conversione è alto: chi si reca in negozio è determinato ad acquistare e la spesa procapite è raddoppiata

ha precisato Mengoli, proseguendo:

I negozi di provincia o nei quartieri delle grandi città con clientela fidelizzata vanno meglio, rispetto a chi di solito contava sullo shopping dei turisti. Soffrono anche le aree universitarie e quelle fortemente frequentate da manager e impiegati adesso in smart working

A livello merceologico la ripartenza ha dato impulso agli acquisti di daywear, mentre è completamente bloccata la cerimonia. E in generale è aumentato il tasso di promozione sui prodotti.

Adesso non bisogna sottovalutare il grande problema degli stock invenduti. Così come il rischio concreto della mancanza di offerta giusta nei negozi: vuoi perché le aziende hanno ridotto le collezioni della primavera-estate, vuoi per i tanti insoluti.

ha chiosato Mengoli.

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A cura di MF Fashion.

Nuovi modelli di rischio e geomarketing

Di |2019-11-06T15:29:15+00:0018 Dicembre, 2018|Press|

Nuovi modelli di rischio e geomarketing

Sita Ricerca News   •   14 Dicembre 2018

La business intelligence applicata al settore moda è stata il tema di un convegno organizzato nei giorni scorsi al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano da Fashion Bank, società unica nel suo genere, in quanto specializzata nell’analisi e nel monitoraggio del rischio finanziario nella distribuzione di moda: un’attività costruita su una banca dati quarantennale, composta da 120mila punti vendita italiani e 4 milioni all’estero, oltre a un archivio di 3mila produttori, associati a circa 10mila marchi.

In particolare, il summit si è focalizzato sui modelli di ultima generazione per il calcolo del rischio finanziario: in particolare sulle applicazioni pratiche di Fashion Map (nuovo strumento strategico e operativo per il controllo, la razionalizzazione e lo sviluppo di una rete distributiva aziendale multibrand) e sul nuovo portale Frm-Fashion Risk Management.

Ad aprire i lavori Roberto Ragnini, founder di Fashion Bank, che ha citato alcuni dati sul mercato italiano della moda, «il cui valore nel 2017 è stato di circa 42-45 miliardi di euro, con i maggiori canali di vendita rappresentati da monomarca e insegne in franchising (45%) e i negozi multibrand al 33%».

Su questo 78% del mercato si è dunque concentrata l’analisi di Fashion Bank, «operando in ambito di certificazione internazionale Ancic in materia di privacy e criptazione dati dei clienti – ha chiarito Ragnini – e tenendo conto non solo degli indici finanziari ma anche di fattori aleatori e variabili, per esempio le condizioni atmosferiche, la professionalità del negoziante e la composizione del sell in. L’alta specializzazione delle informazioni deriva da una profonda expertise del settore merceologico, di cui diamo una visione specifica, accompagnata da un accurato servizio al cliente».

«Un servizio innovativo – ha precisato – che rappresenta il punto di arrivo di un percorso di quattro anni insieme all’Università Politecnica delle Marche, con il supporto di partner quali Sita Ricerca, la compagnia di assicurazioni Euler HermesCo.E.Ri. Kosmos(proprietario di un modello di certificazione del credito), la testata Fashion magazine e lo Studio d’Andrea». Coinvolta anche la Lega del Filo d’Oro, partner etico cui Fashion Bank ha versato un contributo per ogni partecipante al convegno.

A nome di Università Politecnica delle Marche è intervenuto Danilo Scarponi, docente di Business Intelligence, che ha ripercorso il lavoro fatto con Fashion Bank: «Il primo passo – ha affermato – è stato sfatare alcuni miti abitualmente considerati come criteri certi per valutare il rischio finanziario del punto vendita».

I risultati della ricerca hanno infatti dimostrato come gli indici oggettivi di bilancio non siano sufficienti a formulare un giudizio affidabile. Occorre misurare anche i valori intangibili, in primis il capitale umano. «Per far emergere questi elementi intangibili – ha puntualizzato Scarponi – è stata condotta una ricerca su 9mila negozi, che ha prodotto la raccolta di 150 indicatori, poi integrati con le variabili quantitative, il tutto utilizzando l’intelligenza artificiale».

Di questi 9mila store, il 19% si identifica con l’eccellenza e quindi è ad elevata sicurezza finanziaria, il 44% si colloca nella fascia “a normale rischio”, ma il 37% presenta un rischio elevato. «Vince nel tempo l’azienda che si pone un obiettivo alto, etico e focalizza la propria attività sull’offrire una risposta a bisogni specifici», ha concluso Scarponi.

A questo proposito Marc Sondermann (nella foto), direttore e ceo di Fashion magazine, ha ricordato che i multimarca italiani evoluti hanno le carte in regola per farcela, a patto che non abbassino la guardia e sappiano evolversi: «Hanno attraversato una durissima fase di selezione, ma costituiscono tuttora un tassello vitale per l’intero sistema del made in Italy. Oggi solo chi dialoga in modo autentico con il consumatore ha la possibilità di sopravvivere e questo, nonostante le difficoltà, ha favorito i multimarca, sinonimo di un fatturato complessivo di quasi 15 miliardi di euro e capaci di cogliere i desideri del cliente meglio di altri, oltre che di garantirgli un’offerta più variegata. All’attacco dell’e-commerce questi negozi devono rispondere imparando a sfruttare a loro volta gli strumenti digitali».

Fabio Savelli, ceo e founder di Sita Ricerca, è entrato nel vivo di Fashion Map, frutto della sinergia tra questo istituto di ricerche di mercato specializzato nella moda e Fashion Bank: «Si tratta di uno strumento di business intelligence e marketing operativo che consente di sviluppare il posizionamento competitivo del proprio brand all’interno del canale distributivo multimarca – ha fatto notare – analizzando nel dettaglio le caratteristiche e le performance della rete vendita. Essendo basato sulla banca dati di Fashion Bank, è costantemente aggiornato».

Attraverso questo servizio di geo-marketing, si arriva a definire il reale posizionamento di un marchio sul territorio, analizzare in profondità il parco clienti e fornire un supporto basato su dati oggettivi. Obiettivo, individuare le aree di sviluppo in relazione sia al mercato di riferimento, sia ai competitor, in modo da incrementare le vendite, ottimizzare la copertura territoriale, migliorare la distribuzione e acquisire nuovi negozi, che siano solvibili e in target con il brand.

Come ha precisato Savelli, «tutte le informazioni e analisi sono direttamente gestibili dal cliente tramite un portale online intuitivo, dove uno strumento di geolocalizzazione individua il posizionamento territoriale dei clienti attuali e potenziali, con relative schede informative dettagliate».

Sempre più numerose le aziende che utilizzano Fashion Map, tra cui Betty Blue-Elisabetta Franchi, che ha individuato 12 brand competitor e ha tratto dall’analisi preziose informazioni: per esempio, che i suoi punti vendita hanno un acquisto medio molto più alto nel segmento moda donna rispetto ai competitor (161mila euro contro 123mila) e un ottimo livello di penetrazione del marchio (25% superiore alla media di settore).

Paolo D’Andrea, credit counselor, ha ribadito che «il rischio si può gestire attraverso informazioni corrette, in grado di predire lo scenario, in modo da impostare una reazione adeguata», passando poi la parola a Patrizia Mandrioli, credit manager di Twinset Milano, da dieci anni cliente di Fashion Bank.

Mandrioli ha citato i tre punti cardine della strategia aziendale di Twinset Milano: «Mantenimento del canale wholesale, sviluppo internazionale e consolidamento delle linee di prodotto, per essere sempre più globali». «Grazie al servizio Fashion Risk Monitoring (Frm) – ha aggiunto – che va oltre la pura informazione commerciale rappresentando un efficace tool per monitorare il credito e il rischio, possiamo affermare che sono aumentati i clienti, soprattutto quelli della fascia migliore, ed è calata la percentuale dei clienti protestati».

«Il nostro nuovo portale Frm – ha raccontato il cio di Fashion Bank, Francesco Pagliarecci – accerta l’affidabilità finanziaria della clientela, previene le insolvenze e monitora quotidianamente il rischio dell’intero portafoglio clienti in Italia e nel mondo, fornendo report informativi specifici di tipo finanziario e commerciale, insieme a una serie di dati accessori, ma non meno importanti. Tutto questo rende Fashion Risk Monitoring uno strumento completo e integrato per le imprese della moda».
A cura di Fashion Magazine.

Le chiusure domenicali: riducono gli acquisti?

Di |2019-11-06T15:45:24+00:004 Novembre, 2018|Press|

Le chiusure domenicali rischiano di ridurre il traffico e gli acquisti fashion specie nei grandi luoghi dello shopping

Sita Ricerca News   •   4 Novembre 2018

Dall’osservatorio continuativo di Sita Ricerca “Sentiment e Fashion”, nato con l’obiettivo di comprendere atteggiamenti, comportamenti e propensione verso gli acquisti fashion, emerge che la popolazione italiana è divisa a metà  in relazione al  gradimento della proposta di legge di chiusura dei negozi  e degli esercizi commerciali nei giorni festivi.
Il 52% non gradisce la proposta, specialmente tra i più giovani, nel Nord Ovest e Centro e tra i redditi alti, i target con maggior potere di acquisto. Il 48% invece apprezza la linea del governo sulla questione, gradendo quindi norme più stringenti sulle aperture festive, con maggior enfasi tra le famiglie oltre i 35 anni, gli abitanti del nord est e del sud, e tra chi percepisce un reddito basso.

Quale strategia metterà in campo la popolazione per i suoi acquisti fashion nel caso di approvazione della proposta?
Indipendentemente dal proprio accordo rispetto alla proposta, il 28% degli intervistati afferma che si organizzerà in base alle nuove regole e concentrerà i propri acquisti al sabato.
Ma scatta un campanello d’allarme per gli shopping mall, gli outlet, le catene perché quasi un 20% degli intervistati dichiara che acquisterà maggiormente online ed il 15% prevede che tale provvedimento porterà ad una riduzione complessiva della propria spesa in abbiglaimento.

Per saperne di più della ricerca “Sentiment e Fashion” rivolgersi a: daniele.spelta@sitaricerca.com.

Sita Ricerca crea un Panel per il Retail

Di |2020-06-11T08:16:58+00:0012 Giugno, 2018|Press|

L’Istituto di ricerca ha realizzato il primo Fashion Retail
Panel che consente alle aziende della distribuzione di
conoscere su base settimanale i trend di vendita e di
traffico del proprio settore di riferimento.

Sita Ricerca News   •   12 Giugno 2018

di Nunzia Capriglione – Intimo Retail

F ashion Retail Panel è il nuovo progetto firmato Sita Ricerca che consente ai retailer che operano nel mercato della moda di conoscere settimanalmente, in modo preciso e tempestivo, i  trend relativi al sell out e al traffico dei loro punti vendita fisici e dei loro shop online. Il progetto, attivo già da tre mesi, è aperto a tutti gli operatori disponibili a fornire i propri dati. Chi aderisce entra automaticamente nel Fashion Retail Panel Club, i cui membri sono gli unici a poter usufruire delle informazioni raccolte.

«Negli ultimi anni, nel mercato del fashion si è verificato quello che nei decenni scorsi è successo nel largo consumo»

spiega Alessandra Mengoli, partner di Sita Ricerca.

«Anche nel mondo della moda le aziende fronteggiano crescenti tensioni sui margini. Il mercato è polverizzato: le quote
di mercato dei singoli player sono molto basse, la competition è sempre più serrata. Senza dimenticare i nuovi canali di vendita, come ad esempio le vendite online, che, oggi, rappresentano il 10% del fashion. In un contesto così competitivo, le aziende hanno bisogno di dati tempestivi, di strumenti tattici che permettano loro di leggere l’andamento del mercato e reagire rapidamente. A fronte di questa situazione, oggi anche l’industria del fashion risulta più aperta e disponibile alla condivisione dei dati»

Il progetto Fashion Retail Panel è il risultato di un percorso iniziato lo scorso gennaio 2018. Sulla spinta delle richieste avanzate da alcuni player del fashion, già clienti di Sita Ricerca, la società ha dato vita a un club a cui aderiscono alcune importanti società titolari di reti retail di grandi dimensioni. Dopo un periodo dedicato al confronto e al dialogo tra gli operatori per capirne le reali necessità, il programma è entrato in una fase di test a cui è seguita quella del lancio del servizio.

«Le aziende coinvolte nel Fashion Retail Panel ricevono settimanalmente un report in forma anonima con i trend di sell out e traffico a totale rete e like for like»,

precisa Mengoli.

In termini pratici, le aziende che attualmente utilizzano il servizio Fashion Retail Panel ogni lunedì inviano a Sita Ricerca i dati di sell out dei loro punti vendita, organizzati per macro famiglie di prodotto, e quelli relativi al traffico della clientela registrato nell’arco della settimana. Entro 24 ore, Sita Ricerca restituisce un report con i trend che emergono dalle elaborazioni delle informazioni ricevute.

«Ogni insegna conosce l’andamento preciso del mercato e di ogni famiglia di prodotto analizzata e può confrontare il proprio andamento con quello degli altri membri del Club, chiaramente in forma anonima. Questo servizio consente di avere una percezione reale dell’andamento del mercato perché permette ai singoli player di calare i risultati della propria azienda in un contesto più ampio».

Dopo la costituzione del Club, a marzo si è entrati nel vivo del progetto. Inizialmente, le rilevazioni erano su base mensile. Da aprile, invece, si è passati a quelle settimanali. A fine giugno, quindi, le aziende coinvolte hanno a disposizione i dati relativi a quattro mesi interi.

«Abbiamo diviso il progetto in due step. Il primo, ancora in corso, punta soprattutto sul coinvolgimento delle aziende della distribuzione. Nella seconda fase, invece, vogliamo lavorare per segmentare i dati relativi alle singole categorie di prodotto. Ma il processo però deve essere graduale: bisogna essere pragmatici, e rispettosi dei bisogni e dei ritmi delle aziende»

sottolinea la partner di Sita Ricerca. Come anticipato, attualmente il Fashion Retail Panel si rivolge soprattutto ad aziende che vantano reti di punti vendita.

«Nei prossimi mesi, vorremmo arrivare a rappresentare il 25% delle catene monomarca del fashion. Tuttavia, il nostro obiettivo è coinvolgere anche
le insegne in catena multimarca di grandi dimensioni, perché vogliamo offrire ai nostri clienti una visione più completa di quello che è il mondo
distributivo organizzato».

a.b.

Fonte: Intimo Retail di Nunzia Capriglione – 12  giugno 2018

Beachwear, l’hi-tech spinge i consumi d’estate

Di |2019-11-13T13:33:37+00:0012 Maggio, 2017|Press|

Beachwear, l’hi-tech spinge i consumi d’estate

Sita Ricerca News   •   12 Maggio 2017

di Marta Casadei

I

nnovazione e creatività. La formula di un prodotto moda di successo si ritrova sempre più spesso nella sinergia tra questi due concetti. È il caso del beachwear, segmento che non perde appeal nonostante la crisi, stagione (estiva) dopo stagione. E che “resiste” anche in Italia, un mercato nel quale i consumi di moda sono in fase di stallo. A raccontare di questa tenuta avvenuta quasi in sordina sono i dati di Sita Ricerca: «Nel 2016 i consumi dei costumi da bagno in Italia hanno toccato i 720 milioni di euro (+0,7%), restando sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente, positivo anch’esso – spiega Alessandra Mengoli, partner di Sita Ricerca –. In termini di performance, questo segmento è stato il migliore nell’ambito del comparto calzetteria-intimo donna, che invece ha chiuso l’anno passato con un –0,4%, e più dinamico del settore moda in generale».

Un capitolo ben diverso è quello legato all’export: secondo un’elaborazione di Smi su dati Istat, infatti, le esportazioni dei costumi da bagno femminili e maschili sono calate rispettivamente del 4,3% e dell’8% in valore nel periodo gennaio-dicembre 2016. Si tratta del dato peggiore nell’intero comparto calze-intimo-costumi, che ha chiuso l’anno con esportazioni in aumento del 7,5% con performance particolarmente positive in Germania (+21,3%), Hong Kong (+38,5%) e Giappone (+22,7%).

A trainare i consumi italiani, nel 2016, sono stati i costumi donna, le cui vendite assorbono circa i 2/3 del fatturato di settore: «La domanda femminile ha fatto la differenza – continua Mengoli – nel sostenere il mercato, con acquisti trasversali che spaziano dal costume, sia bikini sia monopezzo, ai cosiddetti prodotti fuori acqua (caftani, copricostume, ndr). Gli acquisti da parte del pubblico maschile sono calati, mentre il beachwear junior ha messo a segno un risultato positivo».

Le donne, dunque hanno acquistato costumi nuovi, seguendo i trend di stagione, ma scegliendo di spendere meno rispetto al passato: «I dati mostrano un prezzo medio inferiore rispetto all’anno precedente – continua Mengoli –: si è optato per prodotti meno cari oppure scontati, aspettando le promozioni mid season oppure i saldi». La polarizzazione del mercato, accelerata dalla crisi del 2008-2009, non ha certo risparmiato il segmento beachwear: oggi le proposte si concentrano nelle fasce più basse e più alte del mercato. Da un lato, infatti, si rivelano vincenti le proposte colorate e accessibili di Oysho (gruppo Inditex), H&M, Tezenis (Gruppo Calzedonia) e Yamamay; dall’altro non accennano ad arretrare le creazioni sofisticate e decisamente più costose di La Perla, Eres (marchio del Gruppo Chanel), Parah solo per citarne alcuni.

A muovere il mercato, dal punto di vista dello stile, sono sì le tendenze creative – con il costume intero che, bandito per anni da spiagge e piscine, è tornato protagonista di collezioni colorate, ricche di fantasie e forme che strizzano l’occhio agli anni Novanta e Cinquanta, facendo da contraltare pudico a due pezzi d’ispirazione brasiliana – ma è soprattutto la ricerca. Che si concentra su forme e fit, tali da rendere il costume sempre più simile a una seconda pelle, e sui tessuti, studiati per offrire performance inedite. Cavalcando l’onda, tra le altre cose, della crescente commistione tra sportswear e abbigliamento leisure. Per la P-E 2017, per esempio, l’azienda tedesca Watercult ha lanciato Scubanauts, un costume da bagno tecnico e insieme iperleggero, realizzato con un tessuto made in Italy che garantisce asciugatura rapida, resistenza ai raggi UV, al sale, al cloro e alle creme abbronzanti. La Swim Line di Wolford, invece, è caratterizzata da sottili linee di silicone stampate in 3D sul materiale con l’obiettivo di garantire massimo comfort: da un lato infatti sostituiscono l’elastico e, dall’altro, garantiscono la tenuta e modellano la figura. Oltre agli investimenti in innovazione e creatività, le aziende del beachwear stanno rivoluzionando la propria rete di vendita. Nel 2016 i prodotti del comparto intimo-calze-beachwear sono stati venduti principalmente nelle catene di store monomarca, che hanno assorbito il 38% del mercato.

a.b.

Fonte: Il Sole 24 ore di Marta Casadei – 12  maggio 2017